La “Saraghina” e la Piadina: quando e’ il testo . . . che le unisce

Saraghina, Sarda (o sardella), Alici (o acciughe)  e Sardina (o sardoni): sono quattro varietà di pesce azzurro, simili fra loro,…

Saraghina, Sarda (o sardella), Alici (o acciughe)  e Sardina (o sardoni): sono quattro varietà di pesce azzurro, simili fra loro, ma con delle differenze sostanziali che ne determinano la scelta per le varie preparazioni e metodi di conservazione.

La sardella è più grossa della sardina e la saraghina è più dolce.

I sardoni, più amarognoli, vengono distinti in quelli pescati di notte (più grossi) e quelli “del sole”, pescati di giorno, piccoli e chiari: i primi sono perfetti per essere messi sotto sale (le acciughe), mentre i secondi sono migliori da cucinare.

 

Il prezzo modesto di questo pesce, in passato come oggi, non dipende dalla scarsa qualità delle loro carni, ma dal basso costo della cattura (sono frequenti nei nostri mari) e dalla breve durata di conservazione.

Le acciughe e le saraghine sono infatti pesci pieni di virtù: apprezzate fin dai tempi dei romani, possiedono importanti qualità nutrizionali come il basso contenuto di grassi (soprattutto insaturi, buoni) e la presenza di vitamina B12 e niacina in quantità superiore a qualsiasi altro pesce. Apportano inoltre un amminoacido, la lisina che scarseggia nel pane e nella pasta: da ciò capiamo che l’accoppiata fra un farinaceo (pane, pasta, piadina) e il pesce azzurro è una scelta davvero azzeccata.

Le sarde in "gardèla" - Foto di Luciano Nanni

 

Nelle famiglie contadine dell’entroterra, soprattutto il venerdì, si era soliti comperare le saraghine che venivano poi cucinate sul testo della piadina.

Testo, teggia o teglia: si tratta di una piastra di terracotta o di ferro. Per la cottura del pesce, generalmente, veniva preferita quella di ferro perché assorbiva meno gli odori che poi avrebbero contaminato cotture successive. E poi … il testo di terracotta spesso si “crepava” e si doveva procedere alla “sprangatura”, un’operazione difficile di ricucitura con fil di ferro.

Per la pulizia si era soliti scaldarlo e ricoprirlo con sale grosso e crusca: quest’ultima si incendiava e scrostava tutte le impurità, compresa la ruggine.

 

Prima di tutto si cucinava la piadina, poi … per la saraghina … la ricetta era semplicissima: il pesce veniva appena sciacquato nell’acqua, asciugato e, a dispetto del gatto che si strofinava animatamente fra le gambe dell’azdòra, senza scartare nulla, veniva infarinato (il più delle volte con la farina gialla).

Successivamente, con uno stecchino, se ne attaccavano per la coda tre insieme (anche cinque, quasi a formare le dita di una mano) e si adagiavano sulla teglia rovente con sotto alcuni grani di sale grosso che, per il grande calore, e per la gioia dei bambini, saltavano da tutte le parti (questo serviva a che la pelle dei pesci non entrassero a diretto contatto con la superficie caldissima).

Comunque era compito della cuoca girarli molto spesso, con la punta del “coltellone”.

 

In pochi minuti le saraghine erano cotte e cedevano il posto ad altre tre; per una famiglia molto numerosa si dovevano cuocere almeno una ventina di pezzi.

Man mano che gli “spiedini” erano pronti, venivano riposti in un grande piatto (che veniva coperto perché il pesce rimanesse caldo e morbido) e unti con solo un filo d’olio.

In molte famiglie, quest’ultimo era un passaggio che veniva omesso sia perchè l’olio costava molto e non andava sciupato, sia perché si era soliti dire che le saraghine si cuocevano nel loro grasso. E in effetti, in tutto ciò, c’è molto di vero: pescati infatti nel momento giusto, questi pesci hanno un quantitativo di sapore e grassi tali per cui non necessitano di nessun’altra aggiunta.

 

Una volta che il piattone era pieno di tutte le saraghine cotte, veniva portato in tavola dove ogni commensale, partendo sempre dal capofamiglia e utilizzando la piadina come supporto, si preparava una sorta di “panino”; lo si mangiava tutto intero, teste e reste.

C’erano poi quelli un po’ più schizzinosi che sentivano l’esigenza di scartare, devolvendole finalmente al gatto, quelle parti un po’ fastidiose.

Le donne mangiavano sempre per ultime, sempre in piedi e sempre attente ad osservare che non mancasse nulla.

Foto di Luciano Nanni

 

E se ne rimaneva? Il giorno dopo veniva consumata fredda, con molto aceto: c’è chi non ha nessun problema a sostenere che così … era ancora migliore!

Altrimenti si poteva anche marinare: in questo modo si sarebbe conservata a lungo.

 

Oggi Andrea e Stefano Bartolini affumicano leggermente la saraghina, la appoggiano su un letto di radicchio e cipolla e la “imprigionano” fra due pezzi di piadina:  sulle tavole delle Osterie del Gran Fritto l’anima di questa preparazione torna a raccontarci la storia di un passato che non merita di essere dimenticato.

Questa è stata una delle “voci narranti” portate a Genova, nel Maggio scorso, per rappresentare la nostra regione: “Piadina con Saraghina Affumicata” è stata protagonista nelle “Cucine di Strada” a “Slow Fish 2011”.

 

Giorgia Lagosti