La Spoja Lorda

Piatto di recupero della tradizione romagnola, oggi la spoja lorda è degna anche delle tavole della domenica

Si dice che la Spoja Lorda sia nata sulle prime colline del faentino, nei pressi di Brisighella ma di questo non ci sono conferme inconfutabili. Una cosa che invece è certa è che sia una minestra romagnola doc!

In passato la Spoja Lorda era preparata soprattutto per recuperare la pasta (sempre tanta rispetto al compenso, il ripieno) che rimaneva dopo la preparazione dei cappelletti di magro. Ecco allora che si allungava con il latte quel poco di ripieno che c’era e si spalmava, quasi a sporcarla, la tanta sfoglia oramai tirata a matterello. E’ proprio da qui che arriva questo curioso nome, “spoglia lorda”, cioè pasta all’uovo fresca “lordata” dal ripieno.

E, dal momento che mille, in Romagna, sono le versioni del compenso dei cappelletti, mille sono di conseguenza quelli della spoja lorda: per certo serve del formaggio fresco tipo ricotta, raviggiolo o squacquarone, poi formaggio stagionato grattugiato, uova e noce moscata, il tutto allungato con latte fino a renderlo una crema. C’è chi la chiama anche minestra imbottita (mnëstra imbutìda) o minestra piena (mnèstra pìna).

Data la particolarità (e la bontà) la Spoja Lorda, piano piano, negli anni ha perso la connotazione negativa tipica dei piatti di recupero ed è diventata un vero primo piatto, degno anche del pranzo della domenica.

Spoja Lorda - foto di Elena Braghieri

Come si fa?

Si tira l’impasto di uova e farina con il matterello sul tagliere, si spalma il ripieno su una metà, quindi si ripiega la sfoglia su se stessa a coprire completamente il compenso, eventualmente si pareggia con il matterello o con le mani ma senza premere troppo per non fare uscire il ripieno, quasi solo per disporlo equamente su tutta la superficie e per far uscire eventuale aria. Poi si chiudono i bordi esterni e con la rotella che taglia e sigilla (sprunella) e si ricavano dei piccoli quadrati di circa un centimetro e mezzo di lato. Infine … non si staccano uno ad uno, li si lascia attaccati e li si cala nel brodo bollente. Certamente qualcuno si aprirà e sporcherà il brodo con un po’ di compenso ma … è questo un altro motivo del perché si chiama spoja lorda, perché sporca il brodo.

Ora, se vogliamo restare fedeli alla tradizione, li versiamo in una capiente ciotola con il loro brodo. Se invece vogliamo interpretarli, fermo restando che la cottura deve avvenire sempre in un buon brodo, possiamo scolarli e condirli per esempio con una delicata crema di squacquerone profumata al timo o al basilico e pinoli tostati o immergerla in una vellutata di verdura di stagione come per esempio cavolfiore o finocchi, arricchendo il tutto con erbe aromatiche o semi oleosi. Io di recente ho provato a sostituire gli sbrofabèrba (i maltagliati) nella pasta e fagioli con la spoja lorda: si è rivelata una scelta molto azzeccata!

(un grazie particolare a Elena Braghieri per gli scatti!)