L’Aringa e il Baccala’

Nel patrimonio culturale di un popolo, gli alimenti e la cucina tipica sono un libro aperto sulla storia delle genti di…

Nel patrimonio culturale di un popolo, gli alimenti e la cucina tipica sono un libro aperto sulla storia delle genti di un luogo, sulla loro capacità di stare al passo con i tempi e sulle risorse del loro territorio.

La Romagna possiede una grande tradizione gastronomica e le ricette, gli ingredienti e le consuetudini rappresentano racconti, storie e viaggi che … vanno ascoltati e ripercorsi … per non perderli.

 

Sulle tavole invernali del Ristorante La Buca e delle Osterie del Gran Fritto di Cesenatico e di Milano Marittima si torna a dar voce a quelle storie, si lavora perchè quei racconti restino vivi nella memoria.

Io proverò a tradurre il tutto in parole.

 

L’ Aringa e Baccalà. 

Un’unica tipologia di pesce, il merluzzo e nomi diversi in base al tipo di conservazione.

La provenienza è la stessa (il Mare del Nord), ma il baccalà è ottenuto spaccando in due il merluzzo e mettendolo sotto sale, mentre l’aringa viene fatta seccare all’aria, di solito intera.

 

Pesce povero e grande risorsa della cucina contadina, era molto diffuso un tempo nella nostra regione, soprattutto nelle terre lontane dal mare dove il prodotto fresco era raro o, vicino alle coste, quando il maltempo non permetteva ai pescatori di uscire in mare.

Sulle tavole della miseria compariva più spesso l’aringa del baccalà: da cruda insaporiva pane e polenta, cotta invece, era la pietanza dei giorni di festa.

Dopo essere stata lavata e asciugata, veniva rosolata in padella o arrostita ai ferri o ancora bollita in pentola per essere poi accompagnata da polenta e verdure.

Era addirittura frequente per la colazione invernale dei contadini che lavoravano duramente la terra e che avevano bisogno di molte energie. Veniva accompagnata da semplici fette di pane.

Nelle case c’era un detto: “Il Lombardone da vivo nuota nell’acqua e da morto nell’olio”.

Gnocchi di Patate e Baccalà

 

C’era solo una scelta da fare: aringhe da latte o da uova? Si perché i palati più “fini” riconoscevano la sottile differenza fra l’aringa maschio, che aveva il “latte”, il seme, e l’aringa femmina, che aveva le uova.

E’ da questa distinzione che deriva il detto … Éser da óv e da lat”, essere da uova e da latte, non avere preferenze fra aringa maschio o femmina: ci si riferisce a una persona disponibile, che non ha particolari esigenze e si adatta a qualsiasi circostanza.

 

Nel parlare comune, dialettale, l’aringa viene chiamata Saracca (o Salacca): ciò deriva dal fatto che  in passato (siamo nel XV secolo) il pesce salato era chiamato salamen, cioè ottenuto dalla salatura.

Poi sul finire del Medioevo, in Italia cominciarono ad arrivavare dal nord altri prodotti fra questi anche l’aringa e il baccalà: queste nuove denominazioni fecero cadere in disuso il termine salamen riferito al pesce; si conserva invece nel salame, l’insaccato di carni macinate che oggi conosciamo.

Curioso è notare che è quindi molto lontano nel tempo l’uso del termine salame per indicare una persona ottusa e con un “cervello tinco”, duro come il pesce, inespressivo come il baccalà.

La preparazione del Baccalà

 

Parliamo ora un po’ di storia.

I migliori cultori della lavorazione dei merluzzi furono i Vichinghi, espertissimi navigatori provenienti dal nord della Norvegia. I loro mari, al largo delle isole Lofoten, pullulavano di merluzzi che dopo essere stati pescati, venivano fatti essiccare all’aria: si otteneva così un alimento perfetto per le esigenze di chi compiva lunghissimi viaggi in mare, nutriente, leggero da trasportare (poca acqua, poco peso) e di lunga conservazione.

In seguito, a causa dell’arrivo in queste acque delle popolazioni basche del Golfo di Guascogna (fra la Spagna Settentrionale e la Francia) che sempre più spesso si spingevano verso nord per cacciare le balene, i Vichinghi persero il monopolio della pesca del merluzzo.

Non c’è quindi da rimanere stupiti se i baschi, trovandosi di fronte a veri e proprio “giacimenti” di questo pesce (i Grand Banks), tornavano sempre più di frequente alla caccia di questa grande risorsa alimentare: ma per conservare i merluzzi, invece di esporli all’aria (in Spagna è più calda che in Norvegia e il pescato sarebbe andato incontro alla marcescenza), li mettevano sotto sale, abitudine che avevano consolidato e perfezionato con la carne delle balene. Nacque così il baccalà.

 

I Vichinghi impararono allora questo nuovo sistema di conservazione del merluzzo e lo portarono, navigando sulle loro navi, in molte parti del mondo: è curioso notare che era usato anche come … barometro.

Dopo averlo messo sotto sale, veniva appeso a bordo delle loro navi con delle corde e, quando cominciava a gocciolare … era in arrivo la tempesta: l’accresciuta umidità dovuta alla bassa pressione, ne faceva gocciolare il sale.

 

Andando avanti negli anni, il pesce salato arrivò nel Nuovo Continente: nel 1620, i Padri Pellegrini in fuga dall’Inghilterra, sbarcarono dalla Mayflower sulle spiagge di Cape Cod (Capo Merluzzo: profetico vero?) e, forti delle conoscenze apprese in patria, si diedero alla pesca. Pochi decenni dopo si cominciò a parlare di New England e da queste terre partivano navi stipate di baccalà dirette ai Caraibi, a Capo Verde, alla Canarie: qui, il pesce salato, veniva scambiato con i prodotti locali (zucchero, melassa …) e con schiavi che avrebbero lavorato nelle piantagioni.

Arrivati là, gli schiavi, venivano nutriti con la stessa moneta con cui erano stati comperati: il baccalà.

 

Da tutto ciò è facile dedurre quale sia stata l’importanza del merluzzo nella storia … di quasi mezzo mondo (ce ne è l’immagine anche nello stemma della città di Boston): nell’800 la classe operaia inglese viveva con “fish and chips” (merluzzo e patate: nutriente ed economico).

Curioso pensare che ancora oggi il mercato britannico assorbe 170.000 tonnellate di baccalà all’anno, e l’Inghilterra è al primo posto al mondo per il consumo di questo pesce.

Giorgia Lagosti