Il Gratinato . . . come lo faceva Marcello Bartolini

Questo è un piatto della memoria, del ricordo. Mentre Stefano me lo serve, di persona, dicendomi …“è il gratinato come…

Questo è un piatto della memoria, del ricordo.

Mentre Stefano me lo serve, di persona, dicendomi …“è il gratinato come lo faceva mio babbo Marcello”, vengo avvolta da una nuvola di aromi di mare che … quasi non lo ascolto.

Un ricordo è sempre accompagnato da un profumo, da un sapore: se non è legato ad una sensazione, non se ne ha memoria.

Poi mi racconta questo piatto e percepisco un “concentrato di umori familiari”, intimi, una invitante e complessa pietanza che suo padre preparava con i frutti del suo mestiere: il pescatore.

Trovo sia bello aprirsi al mondo e a sapori diversi, trovo sia stimolante imparare, conoscere e, dopo un viaggio, portarsi a casa una sensazione in più, un’esperienza, ma credo che non si debba abbandonare mai il proprio territorio, il proprio vissuto, le proprie radici.

Sono quelle radici che ci permettono di viaggiare guardando e apprezzando il nuovo, lo straniero, l’esotico, in modo cosciente e obiettivo.

Archivio Fotografico Luciano Nanni

Arrivo al piatto. Ogni “elemento” di questa tavolozza è cotto nel proprio guscio e… niente panature aggressive, niente additivi od insaporitori: solo olio buono, sale, pepe e un impercettibile velo di finissimo pangrattato (fatto con il lievito madre: altrimenti si sentirebbe un leggero amaro … decisamente fastidioso) che serve a far sì che il condimento non scivoli via.

Cappesante, Cannelli, Mazzancolle, Calamari Borsotti. Le Cozze non ci sono perché in questo periodo a Cesenatico non si pescano: le troveremo in altre stagioni. Stefano mi racconta che, più per consolidata abitudine ed esigenza estetica (in fondo … de gustibus non disputandum est!) che per effettiva necessità, una ventina di anni fa,  il gratinato era servito con la “classica” foglia di lattuga sulla quale veniva adagiata una fettina di limone.

E … i casi erano due: chi la usava, andava a rovinare irrimediabilmente il valore del piatto.

Poi c’era chi intelligentemente lasciava intatti la sapidità dei molluschi, la delicatezza dei crostacei, ma … perché sprecare tutti quegli agrumi? Stefano decise allora di eliminare questa … colorata sì, ma inutile suppellettile e di sostituirla con una croccante fetta di buon pane abbrustolito, arricchita da una altrettanto colorata, ma azzeccatissima, dadolata di pomodori maturi condita con olio buono: il pomodoro sa stare in compagnia e dialogare con altri ingredienti senza essere invadente.

In fondo, quello di cui questo piatto così ricco e carico di carattere aveva bisogno, era un semplice tocco di acidità: e forse era proprio quello che si voleva ottenere dal limone, ma … non sopra al gratinato, ecco l’errore.

Da allora troviamo una bruschetta ad accompagnamento di questa pietanza, e così facendo, in bocca, le tante sfumature di sapori forti e decisi, non saturano le nostre percezioni gustative: nel breve tempo del consumo del piatto si ha la possibilità di carpire fino in fondo ogni intonazione. Stefano ricorda ancora il vociare indispettito delle “sue donne” di cucina che non appoggiavano la sua decisione: togliere la foglia di insalata e sostituirla con una fetta di pane e pomodoro era da sovversivi, da anticonformisti.

Stefano passò per un rivoluzionario.

Letto in chiave attuale, invece, quella fu una scelta moderna, all’avanguardia, dalla quale emerge, chiara, la direzione che la Buca voleva intraprendere: piatti senza fronzoli, messaggi diretti, dettagli funzionali e soprattutto … da mangiare! A conferma di tutto ciò, Stefano mi racconta che … in questi 20 anni … non è mai stato ritirato dalle tavole un piatto con la fettina di pane e pomodoro intatta: tutt’al più se ne vedono le tracce in qualche rara briciola sparsa qua e là.

Poi, fra le conchiglie, qualche altro pezzetto di pomodoro, questa volta confit, dolcissimo nella sua veste quasi caramellata.

Giorgia Lagosti