Gregorio Grippo

Oggi voglio raccontarvi di una bella chiacchierata che ho fatto qualche tempo fa con Gregorio Grippo, primo chef di tutti…

Oggi voglio raccontarvi di una bella chiacchierata che ho fatto qualche tempo fa con Gregorio Grippo, primo chef di tutti i locali di Stefano e di Andrea Bartolini.
Si siede davanti a me: un uomo tranquillo, equilibrato, quasi imbarazzato in questo ruolo di intervistato.

Poi cominciamo a parlare e … ecco che emerge forte e scalpitante il suo lato dinamico. Gregorio, con gli occhi che brillano, mi racconta che quando era piccolo amava guardare la nonna e la mamma mentre preparavano i piatti per le feste, quelle ricette tipiche della sua Salerno.

«La passione per la cucina mi arriva da lontano, dalla mia famiglia, da una cultura radicata al mondo contadino del nostro sud».

Rigatoni, Quinto Quarto di Mare e Rosmarino

Diplomato nel ’74 all’istituto alberghiero di Pestum, inizialmente lavorò sulla sua Costiera Amalfitana, poi in Toscana, poi ancora in Val di Fassa dove fece una importante esperienza con la cucina di terra e con la selvaggina.

«Prima dell’incontro con il nonno Marcello, il mio interesse era tutto rivolto alla carne».

E poi cosa è successo?

«Nel ’79 ho conosciuto Marcello Bartolini. Lavoravo per lui alla “Rosa dei Venti” di Cesenatico, la pensione che conduceva assieme alla moglie. Fu lui che mi fece innamorare del pesce. Mi insegnò tutto quello che sapeva, tutto ciò che aveva imparato sui pescherecci, quando era marinaio. In fondo, la cucina di mare, è nata sulle barche dei pescatori.
Da allora il rapporto che mi lega a Stefano e ad Andrea è sempre cresciuto, rafforzandosi negli anni e portandomi a lavorare come in una grande famiglia».

Gregorio Grippo

Come definiresti la tua cucina?

«Non credo che si possa definire la mia cucina con una parola.

Ti posso solo dire che mi piace avventurarmi nei sapori della mia infanzia, nei ricordi di quando stavo ore a guardare le donne di casa impegnate nella preparazione dei piatti della tradizione.

Vengo da una famiglia nella quale il valore identitario del cibo e della ritualità, sono sempre stati forti.

E cerco di creare questo nei miei menù: mi piace pensare che riescano a rievocare una esperienza, una “memoria”. Da qui che parte lo studio di ogni mio piatto.
Poi c’è un progetto di fondo che molto spesso non arriva visibile in tavola: la mia non vuole essere una cucina “estetica” ma di sostanza, essenziale, “pulita” e lineare, giocata sulle migliori materie prime disponibili e sulla loro perfetta lavorazione.

Punto fermo su cui baso il mio lavoro è sicuramente la garanzia della qualità. Mi spiego meglio: l’estetica è una componente del progetto, ma sicuramente ogni progettista sa benissimo quanto siano importanti anche altri elementi, quali la funzionalità o la riproducibilità.

Allora studio e analizzo ogni ingrediente e ogni passaggio della realizzazione dei miei piatti, cerco i prodotti migliori per il mio obiettivo, metto a punto le temperature e i tempi di cottura che mi permettano di ottenere ciò che ho progettato, testo i giusti accostamenti che guidino il cliente al “contatto” con il protagonista del piatto, il pesce. Sopra ad ogni altro aroma e gusto.
Dietro ad ogni preparazione c’è una grande ricerca, ci sono svariate prove. Spesso passano mesi fra l’idea e la realizzazione da portare sulle tavole».

Polpo, Acciughe e Capperi

E ciò vale sia per le cucine dell’Osterie che per quella della Buca?

«La cucina delle Osterie è volta a comunicare la storia antica della cucina di mare, a mantenere vivi i piatti che in passato sono nati sulle barche dei pescatori. Qui il mio obiettivo è raggiunto quando riesco a riprodurre una tradizione che va rivisitata solo per quel che riguarda piccoli aggiustamenti nei confronti degli ovvi cambiamenti che il gusto ha subito negli anni.
Alla Buca invece si fa ricerca vera, si fa sperimentazione. Si lavora ogni giorno per raggiungere il perfetto equilibrio fra la memoria e il futuro, fra passato e presente, fra leggerezza e sostanza.

Alla Buca raccogliamo l’eredità della cultura gastronomica del mare e ne allarghiamo i confini».

Concludo io: quella di Gregorio è una cucina d’autore, di sapori autentici, equilibrata ed intelligente, caratterizzata da contrasti dosati e unioni rassicuranti.

Giorgia Lagosti